Il Garante per la Privacy ha emesso un’ordinanza di ingiunzione nei confronti di TIM a seguito del reclamo proposto da un cittadino.
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Il 5 giugno 2020 il cittadino ha presentato un reclamo al Garante Privacy nei confronti di Tim per chiedere di accertare la violazione del diritto di accesso a dati di traffico telefonico e di ordinare alla medesima Società di soddisfare la richiesta di esercizio di tale diritto entro un termine congruo con le esigenze difensive invocate.
Per supportare il reclamo, cui poi è seguita l’ordinanza di ingiunzione, sono stati prodotti diversi documenti:
Secondo quanto dichiarato dall’interessato, l’analisi del tabulato telefonico avrebbe supportato alcuni fatti utili per la difesa.
Infatti, l’acquisizione del traffico telefonico, sia in entrata sia in uscita, e relative celle agganciate, avrebbe permesso di verificare e dimostrare che l’interessato era impossibilitato a prestare servizio, motivo per il quale c’è stato un procedimento penale.
In particolare, sarebbe stato possibile dimostrare:
Sulla base di quanto esposto, il reclamo evidenziava dunque l’avvenuta violazione dell’art. 15 del Regolamento e l’urgenza di acquisire i documenti richiesti entro una certa data.
A seguito di richiesta di elementi da parte del Garante, Tim ha ritenuto di non soddisfare l’istanza in questione senza smentire le circostanze fattuali rappresentate dal reclamante e senza fornire spiegazioni esaustive in merito alle precedenti risposte dilatorie e al diniego opposto.
La medesima società di telecomunicazioni ha fatto presente di non aver congelato i dati di traffico telefonico richiesti in base ad una costante prassi aziendale.
Trascorsi i 24 mesi, i dati non erano più disponibili al di fuori delle basi dati dedicate alla loro conservazione esclusivamente per il perseguimento dei particolari e gravi reati di cui all’art. 24 della legge n. 167/2017, i quali non ricorrevano nel caso di specie.
Secondo TIM l’istruttoria poteva rivelarsi utile per chiarire tali profili operativi.
Il Garante ha ritenuto ammissibile il reclamo presentato dall’interessato sulla base dell’art. 132 del Codice, ricompreso nel più ampio e generale alveo dell’art. 15 del Regolamento (richiamato dall’art. 132, comma 3).
Secondo l’Autorità, risulta in atti che non vi sia stato un fattivo riscontro a ripetute richieste di accesso a dati di traffico, peraltro specifici e circoscritti.
Segnala la rilevanza non della denominazione formale della richiesta, ma il contenuto sostanziale della stessa.
Pertanto, ai sensi dell’art. 12 del Regolamento, non si può complicare l’esercizio dei diritti degli interessati, imponendo formalità o altri oneri al di fuori dei casi tassativamente previsti.
Rileva, dunque, la legittimità della richiesta del reclamante in ragione del rinvio a giudizio nel procedimento penale e della connessa esigenza di svolgere indagini difensive, nonchè della tempestività e pertinenza.
Sulla base di una serie di considerazioni e in applicazione dei principi di effettività, proporzionalità e dissuasività indicati nell’art. 83, par. 1, del Regolamento, il Garante ha ritenuto di applicare una sanzione amministrativa del pagamento di una somma di euro 200.000,00 (duecentomila/00).
L’aspetto interessante ai fini dell’informatica forense è che il Garante, ai sensi dell’art. 58, par. 2, lett. c) del Regolamento, ha ordinato a TIM di fornire al reclamante i dati richiesti, senza ulteriore ritardo, e comunque entro il termine di 20 giorni dalla data di ricezione del presente provvedimento.
Questo significa che il Garante ha ordinato di scavalcare il limite di data retention dei 24 mesi, utilizzando la banca dati dei tabulati da conservare per 72 mesi che il Legislatore ha previsto di mantenere solo per alcuni specifici reati.
In conclusione, secondo tale ordinanza di ingiunzione l’interessato potrebbe così richiedere delle perizie informatiche forensi su dei tabulati non ancora forniti nonostante siano trascorsi i 24 mesi di retention.